Una stanza tutta per sé
Una stanza tutta per sé è un saggio del 1928 dell’incommensurabile Virginia Woolf. Pagine che chiunque, uomo o donna dovrebbe leggere. Le donne perché la scrittrice inglese parla direttamente al sesso femminile, spronandoci a trovare il nostro spazio, la nostra stanza, anche in un mondo dominato dai maschi. Oggi come allora, duole dire, nonostante i tanti cambiamenti avvenuti. Gli uomini perché attraverso le sue parole possano capire quanto è stato tolto all’arte, alla scienza, al mondo, nei lunghi secoli in cui le donne sono state relegate al ruolo di madri e mogli.
Però io oggi ho preso in prestito questo titolo (l’originale inglese è A Room of One’s Own) per parlare in senso veramente letterale delle stanze. O meglio di cosa significa avere una stanza tutta per sé, quando si parla di artigianato e di lavoro autonomo.
Uno spazio per noi
Ho avuto modo di discuterne spesso con colleghi, più spesso colleghe ad essere onesta, e ci siamo confrontate su quanto, troppo spesso, noi artigiane siamo costrette a lavorare in spazi angusti. Angoli ritagliati alla casa, magari diversi ogni volta. Io, per esempio, lavoro a volte sul tavolo di cucina, sul divano, sul letto, portando i miei gomitoli in ogni dove, sul balcone un estate e vicino al camino in inverno. La mia amica Elisabetta, Ecletticabetty, deve fare lo stesso, e ne parla nella sua intervista per MaMaglia. Ci racconta che un suo sogno, che condivido, è quello di avere un laboratorio dove creare liberamente. Ilaria Piccinin, di Artigianato Maleducato, parla di sé, consapevole della fortuna di poter avere la “sua” stanza, lo spazio dedicato al lavoro e alle creazioni e di quanto sia fondamentale per la sua ispirazione creativa, lo stesso fa Gabriella creatrice dei geniali SegnaLì, qui la sua intervista.
Dove nasce questo problema
Una buona parte delle creative,oggi (e scelgo volutamente il femminile universale), opta per questa strada alla ricerca di una nuova sé. Magari a seguito di un licenziamento o dopo aver avuto esperienze lavorative non andate a buon fine. Oppure dopo anni di precariato, per darsi la possibilità di un lavoro che, se non altro, ci dia la soddisfazione di essere imprenditrici di noi stesse e di dedicarsi ad un mestiere che ci piace. Questo significa, almeno all’inizio, che non esiste un negozio, una bottega, un laboratorio. Siamo piene di idee, di volontà, di creatività, dell’arte di arrangiarsi nel trovare spazi ovunque anche nelle nostre case piccolissime.
L’importanza di un universo privato
Eppure una stanza tutta per sé sarebbe fondamentale. Chiudersi una porta alla spalle e trovarsi nel proprio piccolo mondo. Nel mio caso immagino scaffali di filati in ordine cromatico, per esempio. Musica a basso volume, e un tempo libero da distrazioni per lavorare sulle mie idee.
Io ne sento l’esigenza perché, per esempio, ogni lavoro lasciato a mezzo deve sempre tornare nella sua borsa, a fine serata, per essere “rispacchettato” il mattino dopo. I miei materiali sono ordinati in scatole, ma queste scatole sono sparse ovunque abbia trovato lo spazio per riporle. Quaderni, agende, schizzi: usati e riposti. Avere un luogo invece dove la creatività si ferma e riposa. Ecco un sogno di tanti creativi.
Un luogo reale o dell’anima?
Mi chiedo anche se questo spazio privato che io, e molti altri come me, desideriamo, sia alla fine un ambiente reale, o piuttosto un luogo dell’anima. Certamente le esigenze esplicate sopra sono più che vere, ma chissà se quella famigerata stanza tutta per sé sia, di nuovo come nel testo di Woolf, il simbolo di altro. La rappresentazione di un riconoscimento, che quello che creiamo sia visto come lo vediamo noi, e cioè un lavoro vero, non un hobby o un passatempo per creare lavoretti. Lo spazio come affermazione di se stessi, dunque. Forse è vero anche questo, chissà.
Nel dubbio, io auguro a me stessa e a tutti i miei colleghi di trovare sempre, nella propria casa ed in se stessi, una stanza tutta per sé.